Di ritorno da un breve soggiorno autunnale a Merano, splendida cittadina termale del Trentino Alto Adige, situata a pochi chilometri da Bolzano, affollata da una miriade di turisti provenienti da molti Paesi e, in particolar modo, dall’Europa tedescofona (Austria, Germania e Svizzera), chi per qualche giorno soltanto e chi per permanenze prolungate, perfettamente a loro agio sia per la qualità di vita presente nella località che per l’approccio linguistico, facilitato dalla perfetta padronanza del tedesco da parte di quasi tutta la popolazione residente.
In effetti a Merano, formalmente situata in territorio italiano, convivono, per tutta una serie di vicissitudini storiche che non vogliamo qui riprendere, più di 40’000 abitanti di madrelingua tedesca e italiana e questa pacifica convivenza garantisce un mix invidiabile di cultura, cucina e costumi.
La sua vocazione turistica, lunga di almeno 200 anni, è stata sicuramente fortificata da questa caratteristica, anche se – mi diceva una giovane assistente linguistica meranese attualmente in Ticino per uno stage professionale – sempre di più le famiglie residenti scelgono il tedesco, a scapito dell’italiano, quale lingua ufficiale di apprendimento al momento dell’iscrizione dei loro figli ad una scuola. Ciononostante il bilinguismo rimane, al momento, una caratteristica di questa cittadina con indubbie ricadute positive sull’economia e, in particolare, sul turismo.
Eventuali confronti e parallelismi con il Canton Ticino risulterebbero, evidentemente, inadeguati, essendo le componenti storiche, politiche, economiche e sociali profondamente diverse tra una regione e l’altra, salvo, forse, per il distretto di Leventina, a lungo, nel corso della sua storia, conteso tra confederati di lingua tedesca e il ducato di Milano ed inoltre importante luogo di transito tra Nord e Sud. Tanto è vero che in questa valle il dialetto locale aveva assunto nel corso dei tempi caratteristiche particolari, che avevano spinto il pastore illuminista zurighese Hans Rudolf Schinz (1745-1790) a definirlo “un misto di diverse parole tedesche storpiate, e che risulta del tutto incomprensibile al tedesco che abbia imparato l’italiano sulla grammatica.”
Il che spiega, probabilmente, come ancora oggi, mediamente, la lingua tedesca risulti più familiare in Leventina che in altre parti del Cantone.
In conclusione e alla luce di quanto scritto in precedenza, al di là di un bilinguismo fondamentalmente irrealistico per il nostro Cantone, un potenziamento delle competenze linguistiche in tedesco per le nostre giovani generazioni è senz’altro auspicabile. I recenti e non ancora superati sconvolgimenti pandemici hanno dimostrato un certo ritorno al locale (inteso quale dimensione nazionale e tutt’al più europea) a scapito di una globalizzazione scatenata, che aveva spinto la maggior parte di noi a ritenere che la lingua inglese, ben più di quella tedesca, fosse indispensabile per poter sopravvivere in un contesto sempre più internazionale. Gli ultimi due anni hanno però dimostrato che il mercato sta tornando ad essere più locale (basti pensare al settore turistico) e che, per noi residenti in Svizzera, una buona conoscenza delle lingue nazionali, in special modo del tedesco, possa fornire ai giovani un’opportunità supplementare di potersi affermare negli studi e nel lavoro.
Merito quindi a deutsch@TI di aver compreso il trend e di operare attivamente sul territorio cantonale in questa direzione.
Giulio Poretti, già direttore del Centro professionale commerciale (CPC) di Lugano